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Per contare e crescere in Europa

01 Feb 2020

Ogni percorso di vita è segnato da tappe importanti. Il mese di maggio 2014 si presenterà uno di questi momenti: la conclusione della mia prima legislatura europea. Cinque anni di nuovi stimoli, nuove relazioni, nuovi confronti, nuove battaglie, con la stessa, medesima passione che da sempre mi vede impegnato nelle politiche agricole e alimentari. Da figlio di una famiglia di agricoltori e di un territorio a forte vocazione agricola a studioso di economia agraria, ho messo le mie competenze e la mia esperienza a servizio della politica, italiana ed europea. Perché sono sempre stato convinto, e lo sono ancora oggi, che le due cose non siano affatto contraddittorie. Anzi, Italia e Europa sono complementari: l’una senza l’altra non hanno molto senso. Questo l’ho creduto sempre, quando da ministro ho difeso gli interessi italiani nei negoziati europei e quando, da presidente della Commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, ho guidato la delegazione del Parlamento europeo nel confronto che ha portato alla riforma della politica agricola comunitaria in cui gli eurodeputati, eletti direttamente dai cittadini europei, hanno avuto per la prima volta un ruolo attivo di co-decisori.

Il ruolo di presidente della Comagri, ha significato per me responsabilità maggiori nella prospettiva europea. Una prospettiva che aiuta a capire meglio anche l’Italia. Non è dell’Europa dell’austerità che parlo. Parlo di una cosa che sta già accadendo ma di cui nessuno parla più: l’Europa come progetto politico, processo democratico in progress, luogo in cui i particolarismi sono accantonati per il conseguimento di obiettivi comuni, sintesi attenta delle priorità espresse dai soggetti che la abitano.

È importante fissarlo bene in mente, dopo anni in cui l’Ue è stata ostaggio di una Commissione e di una maggioranza di Stati di orientamento politico di centro-destra. A Bruxelles c’è una casa di tutti i cittadini, l’unica istituzione eletta a suffragio diretto dell’Unione, e questa casa si chiama Parlamento. Grazie al Trattato di Lisbona, il Parlamento ha compiuto i primi decisivi passi verso una democratizzazione del processo decisionale europeo, in cui le istanze dei cittadini possano contare di più. In un momento in cui è più facile raccontare della “distanza” di Bruxelles dalla vita della gente, fare appelli a chiuderci nei nostri confini, ed elencare gli errori del passato, io vi racconterò una storia con lo sguardo rivolto al futuro, di un’Europa in cui vale la pena impegnarsi perché il confronto è estenuante ma dà risultati. Questa è l’unica storia che posso raccontarvi, perché è quella che ho vissuto.

Guardando ai nostri giorni, lo scenario globale della crisi, economica e sociale, ci impone di rivisitare obiettivi e strumenti delle politiche di crescita e sviluppo. A livello nazionale come a livello europeo. La lunga fase di recessione che stiamo attraversando è un segnale chiaro di quanto il mondo si stia trasformando rapidamente. Di quanto ampia sia la portata di alcune emergenze e la conseguente necessità di affrontarle ad un livello più ampio del singolo Paese. Questo non rende meno importante il ruolo dei Governi nazionali. Al contrario, assomma maggiori responsabilità alle leadership attuali. Soprattutto una responsabilità di visione a lungo termine, il cui deficit è alla radice della crisi di tutte le democrazie occidentali, non solo europee.

L’Europa deve essere il luogo e lo spazio per puntare su due elementi prioritari: crescita e sviluppo. Questa è la posizione del Gruppo dei Socialisti e Democratici di cui faccio parte al Parlamento europeo. Per questo ci siamo battuti negli anni scorsi e per questo continueremo a batterci. Perché l’Europa? Perché la storia, anche quella del XX secolo, ci insegna che la risposta a crisi di sistema come quella che stiamo vivendo non sta nell’isolamento e nei richiami all’autarchia - che tra l’altro in Italia abbiamo già sperimentato con esiti disastrosi -, ma con una spinta a una maggiore integrazione tra economie e società diverse. E l’Italia? L’Italia può contare di più. Lo so per esperienza. So che quando si pretende di dettare l’agenda a Bruxelles da Roma, aspettandosi che tutti ci seguano per chissà quale dono divino, si va verso cocenti delusioni. Viceversa, so che quando si lavora a Bruxelles e nelle altre capitali europee, spiegando il proprio punto di vista, instaurando un dialogo franco, onesto e, a volte, anche duro con gli interlocutori, si arriva a dei risultati concreti.

In questa pubblicazione ho deciso di raccogliere alcune delle tappe più rilevanti di questi cinque anni, dall’attività parlamentare alle occasioni di confronto di livello internazionale, dai temi che hanno guidato il mio operato in Commissione Agricoltura e sviluppo rurale alle riflessioni sulle opportunità e sulle prospettive future del settore agroalimentare. Un percorso rapido, ma completo, che mi auguro possa contribuire a trasmettere il messaggio che il processo di “avvicinamento” tra cittadini e istituzioni europee non solo è possibile, ma è già in corso. Il Parlamento europeo dopo il Trattato di Lisbona è una grande opportunità in questo senso. Ma c'è bisogno della partecipazione dei cittadini per coglierla appieno. Perché contare e crescere in e con l’Europa si può.

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